original Italian poem
Poem 22 of Rerum vulgarium fragmenta
A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch’ ànno in odio il sole,
tempo da travagliare è quanto è ’l giorno;
ma poi che ’l ciel accende le sue stelle
qual torna a casa et qual s’annida in selva
per aver posa almeno infin a l’alba.
Et io, da che comincia la bella alba
a scuoter l’ombra intorno de la terra,
svegliando gli animali in ogni selva,
non ò mai triegua di sospir col sole;
poi quand’ io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando et disiando il giorno.
Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
et le tenebre nostre altrui fanno alba,
miro pensoso le crudeli stelle
che m’ ànno fatto di sensibil terra,
et maledico il dì ch’ i’ vidi ’l sole
che mi fa in vista un uom nudrito in selva.
Non credo che pascesse mai per selva
sì aspra fera, o di notte o di giorno,
come costei ch’ i’ piango a l’ombra e al sole;
et non mi stanca primo sonno od alba,
ché ben ch’ i’ sia mortal corpo di terra
lo mio fermo desir vien da le stelle.
Prima ch’ i’ torni a voi, lucenti stelle,
o tomi giù ne l’amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess’ io in lei pietà, che ’n un sol giorno
può ristorar molt’ anni, e ’nanzi l’alba
puommi aricchir dal tramontar del sole.
Con lei foss’ io da che si parte il sole,
et non ci vedess’ altri che le stelle,
sol una notte, et mai non fosse l’alba,
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno
ch’ Apollo la seguia qua giù per terra!
Ma io sarò sotterra in secca selva,
e ’l giorno andrà pien di minute stelle,
prima ch’ a sì dolce alba arrivi il sole.
— Francesco Petrarca
(Original Italian poem)